Battitori di piste 2.0

Proprio come nel Memex pensato da Vannevar Bush in tempi ormai antichi, il Web consente ai ricercatori di scrivere libri in cui siano visibili, oltre ai risultati, anche i percorsi di ricerca. Lo spiega bene Robert Darnton quando dice:

I lettori possono scaricare il testo e dare una scorsa allo strato superficiale, che è scritto come una qualunque monografia. Se lo trovano interessante, lo possono stampare e fascicolare […] per studiarselo con comodo, come un tascabile fatto su misura. Se si imbattono in qualcosa che vorrebbero approfondire, con un clic possono passare allo stato sottostante, dove troveranno un saggio o un’appendice supplementari. Possono continuare così, per tutto il libro, scendendo sempre più in profondità, esplorando coropra di documenti, apparati bibliografici, storiografici, iconografici, musiche di sottofondo, tutto quello che mi sarà possibile fornire ai lettori per ampliare il più possibile la comprensione del mio soggetto. E alla fine il mio soggetto sarà diventato il loro, perché sceglieranno i loro personali percorsi di esplorazione e di lettura, orizzontali, verticali o diagonali, dovunque li portino i link elettronici.

Tutto ciò è ancor più vero quando vogliamo confrontarci con i testi, che stanno al lavoro degli umanisti come i dati a quello degli scienziati. Il chimico Peter Murray Rust, già diversi anni fa, rivendicava la necessità di accedere ai dati da cui i risultati traggono origine (e sosteneva l’importanza di usare il formato linked data per la pubblicazione). Anche Maria Chiara Pievatolo, che ha tradotto gli scritti politici di Kant rilasciandoli con una licenza che permette di modificare e redistribuire le sue traduzioni, arricchite “verso il basso” dei link all’originale tedesco (che il lettore può consultare a distanza di un click) e, “verso l’alto”, delle sue annotazioni e interpretazioni, ha mostrato come è possibile tradurre in pratica quelle che ai più sembrano ancora solo possibilità.



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